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Vaginismo

Era una donna ancora giovane, laureata, lavorava come libera professionista. Mi chiedeva una psicoterapia. Era affranta, da poco si era lasciata con il marito che amava ancora; lui l'aveva tradita con un'altra donna con cui era andato a convivere subito dopo la loro separazione avvenuta qualche tempo prima. E' stata inizialmente una terapia di supporto e di orientamento per la signora ma negli anni si è trasformata in una psicoterapia analitica perché poco a poco siamo entrati nell' intimità della sua personalità lavorando con i suoi vissuti e costruendo una vera e propria memoria storica. Abbiamo portato a galla la storia della sua vita, la storia dei suoi affetti e dei suoi sentimenti cercando di comprendere come la sua identità si fosse costituita e dove si fosse bloccata l'evoluzione del suo divenire donna. Essere “una donna consapevole e soddisfatta della propria femminilità e sessualità” era un sogno lontano, quasi impossibile. Emergeva lentamente nel corso dell'analisi la censura e la chiusura quasi impermeabile sulla propria sessualità.

Da giovanissima aveva abbozzato qualche apertura rispetto a sentire e a provare piacere, aveva cercato di soddisfarsi attraverso la masturbazione, la vicenda sessuale però era subito naufragata quando aveva iniziato a frequentare dei ragazzi, suoi coetanei. La censura della famiglia era stata pesante, uscire con i ragazzi, tornare un po' tardi alla sera significava essere una donna di male affare, una sorta di prostituta, la sessualità all'interno della sua famiglia era fortemente penalizzata, viverla liberamente era pressoché impossibile. “Sei una puttana”, gli urlava la madre, “solo le troie tornano a casa a quest'ora!” I suoi genitori avevano vissuto una sessualità circoscritta al matrimonio, all'interno di un rapporto coniugale, procreativo. Al di là di tali condizioni la sessualità era negata, figlia del peccato, non era ammesso un godimento fuori dal letto nuziale in quanto un simile godimento poteva soltanto essere vissuto e tollerato da una puttana, da una donna di facili costumi.

Nonostante la volontà della signora di difendersi da questa rigida morale familiare, trasmessa soprattutto dalla madre che negava in tono perentorio la possibilità tra gli uomini di potersi desiderare e di godere gli uni degli altri se non in una prospettiva di fare nascere dei figli, il pensiero negativo sulla sessualità si era totalmente impadronito di lei facendone pagare un altissimo prezzo al suo corpo. La signora aveva fortissimi dolori alla vagina quando veniva penetrata dal marito, i loro rapporti sessuali diminuirono nel tempo fino alla loro completa cessazione. La vagina si era chiusa. Le visite ginecologiche avevano accertato che nel momento della penetrazione la muscolatura vaginale si contraeva provocando il dolore. Non era certa la causa della contrazione, poteva essere causata da una malformazione muscolare anche se ciò non è mai stato certificato. Di fatto la contrazione avveniva, la signora viveva il rapporto sessuale in una dimensione traumatica e in uno stato di profonda tensione nervosa perché nel momento in cui iniziava a fare all'amore pensava alla possibile contrazione muscolare vaginale che poteva avvenire, non facilitando certamente il rapporto d'amore. Era una situazione complessa che avrebbe potuto risolversi in positivo se ci fosse stata una profonda collaborazione e condivisione del problema da parte del marito. Il marito rispondeva al dolore vaginale della moglie allontanandosi e non provando più a fare all'amore con lei. Da una parte esisteva una donna sempre più chiusa, muta nel suo dolore che invadeva tutto il campo della sua esistenza, non era certamente più il dolore del muscolo vaginale e dall'altra esisteva un uomo che se ne andava e che non faceva nulla per aprire le “porte della vagina” al piacere e al soddisfacimento sessuale. Quella vagina doveva essere nutrita con amore, ciò riguardava una profonda accoglienza psichica e poi una intelligente preparazione organica. Bisognava preparare l'organo vaginale, sollecitarlo, a ciò avrebbe dovuto pensarci il marito; la vagina ogni giorno avrebbe dovuto essere nutrita con creme e con olii per ammorbidirsi diventando meno rigida e secca. L'esperienza matrimoniale era stata per questa donna un fallimento totale perché aveva confermato l'impossibilita per lei di accedere a un rapporto sessuale/genitale anche se contenuto nel dispositivo matrimoniale.

In questa storia si percepisce e si vede molto bene come i fattori psichici e organici abbiano creato un cortocircuito fisiologico e mentale che ha bloccato l'evoluzione della stessa vita della donna. Il fallimento matrimoniale era in parte dovuto al tiepido e fragile amore del marito verso di lei e in grandissima parte all'inibizione paralizzante e alla colpa che la signora aveva assunto e introiettato degli imperativi negativi familiari riguardo ai piaceri sessuali corporei. L'eredità familiare era l'assoluta negazione della sessualità in ogni sua forma, mentale e genitale. La signora è venuta per diversi anni in analisi, è tornata a vivere nel corso del tempo, si è progressivamente staccata dalla mentalità familiare e dai resti psichici del matrimonio in cui si era sentita rifiutata come donna perché non aiutata dal marito a entrare e a conquistare quella femminilità, una matura femminilità, che era sempre stata negata e ampiamente fustigata dalla madre. La terapia si è sospesa quando la donna si è trovata in una condizione di discreto benessere, stava abbastanza bene con se stessa e aveva ricominciato a frequentare persone, gente, conoscenze anche di vecchia data; la signora per quasi tutti gli anni dell'analisi era rimasta chiusa in casa, oltre al lavoro non aveva vita sociale perché non si sentiva di frequentare nessuno, si era esclusa dal mondo.

Le persone che aveva ripreso a frequentare erano amici, in particolare donne; gli uomini, possibili e eventuali fidanzati non erano ancora presenti nella sua vita ma forse si trovavano all'orizzonte come mi disse in uno dei nostri ultimi incontri. Non so se la vaginite abbia continuato a persistere come sintomatologia organica, mi ha chiamato qualche anno fa' per salutarmi e mi ha detto che stava bene. Comunque anche se il sintomo della vaginite fosse perdurato negli anni l'interpretazione e il senso da dare alla cosa non era più da intendersi nelle modalità in cui la donna raccontava della vaginite agli esordi della terapia. La signora non aveva più una vaginite mentale! L'apporto analitico terapeutico è stato di avere sbaragliato il campo dell'eredità negativa familiare alleggerendo la dimensione di colpa che gravava sulla sua anima con un lungo lavoro di ricostruzione della propria identità facendo memoria della sua vita.

Dott. Giovanni Castaldi

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