Mio figlio Marco, secondogenito, ha 22 anni, studia ingegneria da tre anni, ha superato solo due esami
--Giovanni--
Il mio nucleo familiare è composto da tre figli e una moglie. Mio figlio Marco, secondogenito, ha 22 anni, studia ingegneria da tre anni, ha superato solo due esami. E’ molto intelligente ma non studia mai. Lamenta insoddisfacenti rapporti con il padre, specialmente da piccolo, e una recente relazione sentimentale conclusasi male. In casa è chiuso nella sua stanza, collegato ad internet, per vedere film ed altro. Dice che non ha voglia né di studiare né di cercarsi un lavoro, ammette di non stare bene. Nel consultorio familiare locale ha incontrato uno psicologo due volte fino ad ora. Come possiamo aiutarlo? Cordiali saluti.
>Caro Sig. Giovanni,
La cosa importante è che suo figlio stia andando a parlare con uno psicologo, va assolutamente sostenuto in questa sua iniziativa.
La situazione da lei brevemente esposta può riferirsi a una condizione post-adolescenziale piuttosto comune (un periodo che per molti giovani è sicuramente difficile: la passata scelta universitaria, gli interrogativi sul futuro, la ricerca di un senso in quello che si fa..) oppure può rappresentare uno stato di disagio con tratti più spiccatamente patologici. Ovviamente non abbiamo dati sufficienti per distinguere, ma sarebbe utile innanzitutto comprendere le modalità in cui vostro figlio ha comunicato a voi le sue lamentele (direttamente, implicitamente, attraverso altre persone..?), come si comporta con le persone della famiglia e con gli altri, per cercare di fare un punto sulla situazione. Rimane il fatto che suo figlio è consapevole di non stare bene. La famiglia come ogni famiglia che faccia funzioni di famiglia deve riuscire a creare canali comunicativi tra i diversi membri della medesima. Mi ha onestamente incuriosito il fatto che lei parli del padre in terza persona. Mi scusi, forse non ho inteso. Lei Sig. Giovanni è il padre di colui che in questa sua richiesta che ci ha fatto pervenire chiama “figlio”? Se sì, come penso, perché enuncia che lamenta insoddisfacenti rapporti con il padre e non formula la cosa dicendo che lamenta insoddisfacenti rapporti “con me” ? Perché parla appunto del padre in terza persona e non dice “me”? Perché si scorpora dal padre? Sarebbe interessante che lei riflettesse su tali considerazioni e se vuole rispondesse in merito.
Distinti saluti,
dott. Giovanni Castaldi