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E' una battaglia, che a volte, appare persa in partenza

--Angelo--

Nato da parto cesareo il bambino nel primo mese di vita ha avuto la pertosse con conseguenti convulsioni febbrili che gli sono permase sino all’età di quattro anni. Pur mostrando spiccate capacità cognitive ha sempre mostrato una certa aggressività che col tempo è stata canalizzata nello sport dove il ragazzino ha raggiunto ottimi risultati senza intaccare il rendimento scolastico che sino alla scuola media è stato ottimale. Con la scuola superiore ha iniziato ad assumere droghe di diversa natura che ne hanno condizionato la vita sociale e lo stesso rendimento scolastico. Col 1° Liceo Classico – all’età quindi di 16 anni – ha chiesto di lasciare quell’indirizzo motivandolo con la sua indole scientifica anziché classica ed è stato inserito, senza interruzione dell’anno scolastico in corso, nel liceo scientifico dove ha sostenuto un esame d’ingresso che ha superato regolarmente. Il suo impegno – anche se incostante, gli ha permesso di arrivare al 5° anno e di superare gli esami di Stato e seppur con distrazioni di vario tipo ha superato i test di medicina che lo hanno visto tra i primi 50 concorrenti a ragione delle sue spiccate doti intellettivo/scientifiche. Le cose però – nel giro di pochi mesi – si mettono subito male. Il ragazzo non riesce a dare continuità agli impegni perché travagliato da conflitti interni che ne determinano la richiesta d’aiuto alla famiglia che nel maggio del 2006 decide col suo consenso di entrare in una comunità di recupero dove vi permane sino al marzo dell’anno successivo. Mentre i primi cinque mesi i suoi progressi erano stati assai positivi ed evidenti, quelli successivi si sono rilevati deludenti e drammatici. Il ragazzo, dopo il primo periodo, a suo dire, di positività sentiva che volevano piegarlo a delle regole che ne impedivano capacità e possibilità pertanto si chiudeva in una sorta di autismo e solo con il mese di Marzo la famiglia, casualmente, in un incontro di trasferimento ad altra sede – da Formica a Como – si ritrovava davanti un reietto che non aveva alcuna capacità relazionale: farfugliava parole insensate ed era in uno stato psichico indicibile. I genitori, a quel punto, col ragazzo lasciavano la comunità e supportati da uno Psichiatra veniva diagnosticato che il ragazzo aveva subito una psicosi da uso di stupefacenti che con una cura mirata sarebbe potuta rientrare. Nel giro di poco tempo il ragazzo ritornava in sé e lo psichiatra, a quel punto sentiva di asserire che il ragazzo non aveva riportato conseguenze importanti da quella esperienza e che poteva sperare di fare, quanto prima, una vita normale. Si consigliava utile comunque un supporto psicoterapico sino alla completa riabilitazione. La vita universitaria veniva ripresa dopo due anni, previa l’individuazione di un buon psicoterapista che veniva contattato in loco con l’impegno che si sarebbe preso cura anche dell’aspetto farmacologico. Ma così non è stato. Seguito per dieci mesi (da Gennaio all’Ottobre c.a.) solo perché il ragazzo s’è reso conto che non si facevano passi avanti significativi e che proseguire su quella strada non avrebbe portato alcun beneficio, alla fine a seguito di una relazione richiestagli esplicitamente dai genitori veniva diagnosticato un disturbo dell’identità di carattere psicotico e di conseguenza si riteneva inutile la prosecuzione dell’attività psicoterapica. In atto il ragazzo - esaurita l’esperienza psicoterapeutica, che di fatto s’è rivelata poco utile, sta cercando un supporto sia familiare che professionale risolutore. Lui rimane convinto che la scelta universitaria è l’unico punto fermo che gli permette di andare avanti e che il farmaco sinora preso (ziprexa 10mg a volte di più in base al suo status) lo ha solamente spossato e lo ha fatto aumentare di peso tenendolo semplicemente a guinzaglio per lungo tempo. Per inciso lo psicoterapeuta pur essendo uno psichiatra non ha ritenuto di monitorare con esami mirati gli effetti del farmaco che solo in due occasioni è stato verificato dalla famiglia. In questi ultimi giorni il ragazzo ha ridotto lo ziprexa a 5mg e dopo i primi due giorni che ha avuto sensazione di nausea ora sembra si sia stabilizzato anche se non riesce a portare avanti impegni significativi. La sua vita rimane sedentaria e nonostante gli venga consigliato di fare sport lui sposta in avanti le attività fisiche in quanto – a suo dire – è impegnato a smaltire le scorie del passato che non gli permettono di ripartire per la sua strada che in questo momento ha interrotto e che vorrebbe riprendere a Gennaio, ma è un’ipotesi tutta da validare. Il guaio è che trascorre parte della giornata a cercare di correggere suoi presunti difetti, trattandosi con severità e pretendendo da se stesso cambiamenti impossibili: è una battaglia, che a volte, appare persa in partenza.
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Distinti saluti

 
 
>Caro Angelo il caso che lei espone è complesso, non è semplice darle un consiglio. Mi chiedo come mai è stata interrotta la psicoterapia. Il consiglio è di riprenderla e le spiego i motivi. Ho sempre lavorato come psicoanalista sia in ambito pubblico che in ambito privato. Certamente quando lavoravo in Comunità terapeutica o in reparto psichiatrico non facevo il lavoro che svolgevo in studio. Fare lo psicoanalista in psichiatria significa portare lo stile analitico, significa cercare di fare emergere la soggettività del paziente in modo totalmente differente rispetto a una psicoterapia condotta in privato a seguito della domanda di un paziente. Il modello clinico a cui mi sono sempre ispirato riguarda la psicoterapia istituzionale, svolta per decenni in Francia in diversi ospedali psichiatrici. Si tratta di costruire le condizioni ambientali affinché una persona possa parlare, possa sentirsi accolto e ascoltato. Bisogna fare insieme al paziente e non è affatto detto che il paziente debba ogni volta parlare. Si può costruire un campo terapeutico dinamico molto più ampio che il singolo momento dell'incontro vis a vis, diciamo che questo aspetto può avvenire in un secondo tempo, l'essenziale è costruire una relazione di sostegno con il paziente che passa attraverso molteplici attività che non per forza di cose devono passare attraverso dei colloqui. Il giovane di cui lei parla deve essere seguito a un livello più esteso e più ampio, a 360 gradi. La psicoterapia forse non ha funzionato, è un'ipotesi, perché il setting era sbagliato, era un classico setting che prevedeva un lavoro del paziente troppo avanzato riguardo alla sua condizione psichica, bisognava fare un lavoro preliminare che è poi essenziale per qualsiasi cura. Tenga conto che lei dice che il ragazzo è intelligente per cui si può lavorare e la diagnosi di psicosi non è assolutamente sfavorevole rispetto a una psicoterapia. Però bisogna vedere come la si svolge una psicoterapia. Mi faccia sapere, se vuole ci chiami allo 0229531468 o al 3485849549. Buone cose per lei.
 
Dott. Giovanni Castaldi

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